È quasi mezzanotte. Sono in soggiorno davanti alla TV. Ho già commentato la pandemia del COVID-19 attraverso la metafora di Ulisse e di Leonida, per evidenziare le odissee e le battaglie di tanti italiani: medici ed infermieri, in primis.

Ora desidero parlarvi attraverso “eroi italiani”. Ho solo il problema della scelta. Il mio sguardo si sposta sulla televisione accesa e, dietro al giornalista, intravedo un paio di militari: sono alti. Probabilmente sono Granatieri di Sardegna. E, non a caso, mi torna alla mente il Granatiere Renato Castagnoli.

Siamo in prossimità di Atene. È l’8 settembre del 1943: ore 20.00. È stato firmato l’armistizio e tutto si capovolge: i nemici si trasformano in alleati e gli alleati si trasformano in nemici. I Granatieri del terzo reggimento Granatieri di Sardegna, in un momento così confuso, così tragico, vissuto così lontano dai propri affetti, restano, con ordine, disciplina, compostezza, i Granatieri del terzo reggimento Granatieri di Sardegna.

Il giorno 11 vengono fatti salire su un treno: destinazione dichiarata, Italia. Ma, ahimè, la destinazione diventa il campo di concentramento di Vietzendorf, in Germania. Il 25 settembre del 43, gli ufficiali vengono condotti al margine estremo del campo di concentramento. I granatieri vengono adunati al centro, circondati dalle mitragliatrici. Viene loro offerta questa alternativa: campo di concentramento o indossare l’uniforme tedesca. Tutti i granatieri rispondono intonando l’inno del reggimento. Poi, marciando, raggiungono e sfilano davanti ai propri ufficiali, rendendo loro gli onori.

Il giorno dopo, per rappresaglia, gli ufficiali vengono deportati in Polonia.

Ma all’inizio di questa storia, in uno dei momenti più drammatici, il Comandante di Reggimento, Colonnello Renato Castagnoli, insieme ad altri tre ufficiali, per evitare che la bandiera di guerra cada in mano tedesca, bruciano l’asta, ne dividono in due la punta, separano i tre colori ed assumono un impegno solenne, che non teme il confronto né con l’odissea né con le Termopili: restare ad ogni costo vivi, tornare ad ogni costo in Italia, ricomporre ad ogni costo la bandiera del reggimento.

Ebbene! La bandiera, quella Bandiera è ora custodita, a Roma, nel Museo Storico dei Granatieri ed io l’ho vista ed io ho avuto l’opportunità di conoscere e di parlare con questo uomo così straordinario: il generale Renato Castagnoli.

È passata, da poco, la mezzanotte. Sono sempre seduto in poltrona, c’è sempre lo stesso giornalista e, dietro di lui, intravedo un paio di militari: sono alti. Ormai ho deciso che sono Granatieri di Sardegna. E mi torna alla mente un’altra storia straordinaria, leggendaria.

Siamo nell’aprile del 1942. Siamo in Russia, sulle sponde del fiume Don. Il granatiere Gianfranco Chiti comanda, scusate, è doveroso dire, si sente responsabile di circa 200 uomini, del 32° battaglione controcarro, Granatieri di Sardegna. Ha, da poco, lasciato fuggire una ventina di prigionieri russi, fra cui vecchi, donne e bambini, che ufficiali tedeschi gli hanno consegnato, per farli fucilare.

Successivamente, nonostante le ferite da schegge sulla schiena, nonostante il ricovero per congelamento e la quasi necessità di amputazione di un piede, resta al suo posto, per non lasciare i suoi granatieri allo sbando, privi di un riferimento e di una guida.

Poi inizia la tragica ritirata, in condizioni inenarrabili. Con volontà ferrea, ascendente e carisma fuori dal comune, salva, da morte certa, molti “suoi” granatieri quando, senza più forze, senza più speranze, senza più motivazioni, stanno sul punto di fermarsi e di arrendersi alla fame ed al gelo. Un volo ed ora siamo nel 1978. Il granatiere Chiti, con il grado di generale, concretizza un aspirazione lungamente accarezzata: prende i voti e diventa frate cappuccino. Grazie alle sue doti manageriali restaura il convento semi abbandonato di Orvieto, trasformandolo in luogo di spiritualità, gradevole e ben organizzato. Spesso gli fanno visita i reduci dalla campagna di Russia, che rievocano i tanti significativi ricordi. Ora possono apparire inezie. Ora! Ma allora decisivo baluardo fra la vita e la morte. Quando la disperazione e la fatica sembrano avere la meglio interviene il Granatiere Chiti. A volte con la forza, a volte con un doveroso “cazziatone”. Altre volte prendendo sulle proprie spalle il granatiere stremato, della cui vita si sente responsabile. Spesso con l’affetto nascosto in una sigaretta o in un duro pezzo di pane. Sempre con l’esempio.  La sua, quindi, è una vita speciale, vissuta anche in campi contrapposti, ma una vita spesa, non solo superando le difficoltà, ma vissuta piegando le difficoltà in opportunità, per diventare un uomo migliore.

Il generale, Padre Gianfranco Maria muore a 83 anni e la salma, viene vestita con gli abiti militari sotto il saio cappuccino ed al collo gli alamari con stelletta dorata, appartenenti al Generale Giovanni Garassino, Comandante la Brigata Granatieri di Sardegna.

Il 13 aprile del 2015, il vescovo di Orvieto-Todi, Benedetto Tuzia, apre l’inchiesta diocesana per la sua causa di beatificazione e canonizzazione che si chiude, solennemente nel Duomo di Orvieto, il 30 marzo del 2019. Il Duomo è colmo di Granatieri di Sardegna, di ex allievi del Comandante, di frati cappuccini, di familiari di ex reduci, di familiari di partigiani e di ebrei da lui posti in salvo. Anche questa è una storia di vita che non teme il confronto né con l’odissea né con le Termopili ed io ho avuto questa seconda opportunità: conoscere e parlare con questo uomo così straordinario: Generale, Padre Gianfranco Maria Chiti.

Mezzanotte è passata da un po’. Rifletto: non solo il coronavirus è contagioso. Può essere contagioso anche un messaggio positivo. Ad esempio, quello diffuso da uomini come i Granatieri Castagnoli e Chiti. Attraverso la loro testimonianza possiamo imparare che le difficoltà possono essere piegate in opportunità, da sfruttare per diventare migliori, come singoli e come collettività. Attraverso la loro testimonianza possiamo provare, più uniti e più forti, a rimettere in carreggiata il nostro paese, a rimettere le cose al proprio posto come testimonia la bandiera del 3° Reggimento Granatieri di Sardegna.

Dedicato a tutti gli uomini e le donne delle Forze Armate e delle Forze dell’ordine.